Monsignor Matrone nel cuore degli Ercolanesi    di Mimmo Iacomino

Se Alessandro Manzoni fosse stato nostro contemporaneo e conterraneo, invece di scrivere all'inizio del capitolo VIII de "I Promessi Sposi" : "Carneade! Chi era costui?", forse avrebbe scritto: "Monsignor Matrone! Chi non l'ha conosciuto? ".

Credo che soltanto le generazioni più giovani, dalla fine degli anni Ottanta o inizi Novanta, non hanno avuto la fortuna di conoscere questo personaggio, che non è stato solo un' istituzione per la Basilica di S. Maria a Pugliano, ma per tutta Resina-Ercolano.

Ricordo che negli anni Sessanta veniva definito come l'uomo più colto di Resina, tant'era lineare la sua "ars oratoria", la profonda conoscenza biblico-teologica, l'amore per la cultura classica, la piena consapevolezza di essere del mondo, nel mondo, ma anche di Dio, perché partecipava con coscienza umana e cristiana all'evoluzione storico-sociale, scientifica e culturale, sapendo spostare il baricentro degli interessi e della logica in un ambito di ampia ed intelligente riflessione, pienamente convinto della costante presenza di Dio nell'esperienza difficile ma esaltante di ogni persona. Gesù e Maria erano il binomio che aveva eretto a fondamento della sua vita sacerdotale e al quale, fino alla fine, si è sempre ispirato.

Legato alla tradizione più nobile di Resina-Ercolano, ne sapeva cogliere gli aspetti più belli ed emozionanti, le forme linguistiche dialettali estremamente corrette nella pronuncia, nella scrittura e nella recitazione. Queste virtù le praticava con un'anima sacerdotale di grande fervore e di costante zelo. Era saputo entrare nell' anima di ogni resinese-ercolanese in punta di piedi, conquistando, con la simpatia e con l'amore, i cuori di tutti. Era di tutti, apparteneva a tutti, partecipava delle cose di tutti, perché voleva svisceratamente bene a tutti.

La gioia che manifestava nel vederti era una gioia di altro mondo e per questo era benvoluto e bene accettato; mai che avesse dato segno di noia o di antipatia nei confronti di chi incontrava o con chi dialogava: sempre attento, mai distratto. E così è ricordato dai fedeli, dalla gente comune, anche da chi ebbe con Lui soltanto momenti di occasionale dialogo.


La sera del tre febbraio scorso, nella Parrocchia di S. Maria della Consolazione, alias S. Agostino, si è celebrata la memoria del terzo anno dal suo transito alla Casa del Padre, cui ha fatto seguito l'inaugurazione di una lapide commemorativa.

Durante la celebrazione eucaristica, alla fine dell'omelia di don Ciro Boiano, i fedeli, che assiepavano ogni ordine di posti, hanno espresso con un lunghissimo, sentito e fragoroso applauso la riconoscenza e l'amore che li ha legati a questo sacerdote, degno Figlio di Resina-Ercolano.

Era visibile sul volto di tutti l'emozione e al tempo stesso la convinzione che quel momento celebrativo non fosse una semplice cerimonia commemorativa, ma un atto dovuto e forse troppo atteso nel tempo, anche se sono trascorsi pochi anni.

Una cosa, però, ho notato sul volto di tutti: una compostezza interiore, che celebrava sì una persona cara che ci ha preceduto nel segno della fede, ma soprattutto un convinto atteggiamento che deriva dalla teologia escatologica, che ci fa affermare che la memoria di una persona cara è un fatto culturale che resta soltanto nell' ambito dell' esperienza umana, perché quella persona, e soprattutto Monsignor Matrone, è vivo in Cristo, perché, dopo l'intera vita il cui scopo è stato solo quello di annunciare la Buona Novella, si è configurato a Lui.

Questa è stata la grande testimonianza da me avvertita: un popolo che continua a sentirlo ancora vivo e presente, con il vigore e la passione della sua catechesi ricchissima di aneddoti, con la carica umoristica che lo distingueva, come quando raccontava le sue argute barzellette, con gli occhi sempre rivolti al Cielo nella contemplazione di Gesù e Maria.

E così vogliamo ricordarlo Monsignor Matrone, con quella ansia contemplativa che ci ha trasmesso e che ci fa prefigurare che alla fine dei tempi saremo tutti con Lui in Cristo, nella Casa del Padre, là dove il giorno è senza fine e la luce è sempre accecante, perché è la luce del Risorto.

 

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